Testimonianze

Le opere di Maria Delfitto hanno suscitato profonda ammirazione tra critici d’arte e appassionati, raccogliendo una varietà di commenti e riflessioni nel corso degli anni. Le seguenti testimonianze evidenziano il valore della sua arte naïve, capace di toccare corde emotive e di reinterpretare la realtà con una sensibilità unica.

da “Voce Adriatica” – sabato 15 aprile 1967

… la sua pittura viene definita “ingenua” da coloro che se ne intendono e sono in grado di prendere un quadro e sistemarlo nella gerarchia storica dei valori e dire poi che il quadro somiglia a quelli di Rousseau o di Vivin.
Noi – che di rado frequentiamo le mostre e le “vernici” – siamo altrettanto ingenui e quindi “giovani”. Ci piace ciò che è bello, ciò che ci commuove, ciò che ci fa prendere coscienza della nostra realtà umana che è fatta anche di sogni, di colori e di battiti d’ala che vorrebbero andare dietro la collina, dietro la “siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”.
L’arte, quando c’è, non può che essere poesia capace di far vibrare le corde di quell’arpa, a volte ignota, che tutti ci portiamo dentro e che chiamiamo anima.
Ebbene la nostra anima “sente” la poesia che è nella pittura di Maria Delfitto e la sente nella misura in cui essa supera il reale per dargli la sostanza di una dimensione nuova. Le case rosse, gli alberi che hanno colori così diversi, toni ed accenti non consueti, panorami che sembrano usciti dal lavaggio improvviso di un impensato temporale d’estate ed appaiono nuovi, mai visti, ebbene tutto questo, che è nei quadri della Delfitto, è poesia, cioè è arte.
Ad altri – competenti – il compito di classificare l’opera della nostra pittrice negli schemi della vicenda dell’arte. A noi può essere sufficiente dire di aver avuto la possibilità di conoscere, attraverso un’opera che sa anche di sofferenza, un’anima capace di vivere nella gioia di un mondo nel quale è l’uomo a stabilire la grandezza ed i limiti della propria visione. Della propria vita.
Vorremmo che fossero molti gli ascolani capaci di trovare quell’ora di tempo necessaria per conoscere la pittura di Maria Delfitto. Forse potrebbero imparare a vedere il mondo che li circonda con uno sguardo più buono. Certamente potrebbero dire di aver tenuto a battesimo una vera artista.

Secondo Balena


da “Il Tempo” – giovedì 20 aprile 1967

… E che nella natura presentata dalla Delfitto ci sia un certo pampsichismo non può di certo essere negato: basta osservare gli ulivi dalle fronde cangianti ad ogni spostamento di luce, la vivezza e la luminosità del colore che anima ogni opera, le linee a volte rigide e a volte flessuose che creano prospettive e movimento, i cieli ora vividamente azzurri ora appena sfumati.
Indubbiamente Maria Delfitto si avvale di una tecnica notevole; ma il “ritratto” della pittrice di Grottammare non lo vediamo soltanto nella tecnica, ma piuttosto nell’amore e nel sensibile animo con cui la natura viene da lei trasformata in un elemento per nulla oggettivo, estraneo all’uomo, ma in un elemento che riflette dell’uomo stesso i sentimenti migliori, i sogni, le fantasie…

(L.V.)


da “Momento-sera” – sabato 13 gennaio 1968

… erano tutti noti ad eccezione di Maria Delfitto, una pittrice davvero “ingenua” che ha costituito, con i suoi fioritissimi giardini, l’unica vera rivelazione tra i numerosi artisti partecipanti “sotto giuria”. La fragrante primavera della Delfitto ricorda un po’ l’Eden perpetuo di Iracema, ma l’atmosfera di questi giardini è più nostra, l’estasi floreale più casalinga e contenuta di quella quasi mistica della celebre naïve brasiliana.

Lorenza Trucchi


Roma, 1 marzo 1968

Gentile Signora,
chi le scrive è Marino Mazzacurati e, come certo saprà, sono un poco il padre dei naïfs italiani avendo scoperto e lanciato Ligabue, Rovesti e molti altri. Alla Mostra di Luzzara ho avuto modo di ammirare le sue opere, ed ora ho intenzione di organizzare a Roma, con catalogo presentato da me, una grande mostra di pochi e sceltissimi naïfs, vorrei sapere se è disposta ad inviarmi, per esporlo, il suo quadro “Paese alto di Grottammare”.
La mostra si terrà presso la Galleria Toninelli, il cui proprietario è mercante di fama internazionale, mercante, oltre che mio, anche di M. Marini, Manzù, Guttuso, Afro, per citare solo alcuni artisti italiani.
Le faccio presente che esporre da Toninelli è una patente di grande prestigio, oltre che una reale possibilità di aprirsi un mercato qualificatissimo, ragioni queste che un artista deve tener presenti nella collocazione delle sue opere.
Naturalmente il quadro verrà assicurato per il prezzo da lei indicato nel catalogo di Luzzara.
In attesa di una sua cortese risposta la saluto molto cordialmente.

Marino Mazzacurati


Oltre il succedersi ed il moltiplicarsi di correnti critiche con la disinvoltura d’un tempo proteso a legittimare novità d’ogni specie, nell’arte non manca mai, per nostra fortuna, la natività di artisti che perseguono con tenacia una propria forma. Mi accorsi della spontanea necessità d’espressione pittorica di Maria Delfitto, sin dal suo contrastato inizio; poi, la mia giusta valutazione venne confermata dalla simpatia, per i lavori di allora, dell’inobliabile amico Marino Mazzacurati, che si era proposto di valorizzare i naïfs.
Ma alla ricerca d’un inconfondibile stile non bastò la spontaneità nativa, sicché oggi possiamo affermare che la Delfitto si è creata una sua pittura, ricca di poesia e gradualità gioiosa di toni, che per la difficile tecnica e i risultati raggiunti è degna di essere accostata alla indiscussa rarità dei migliori miniaturisti del passato. Ampliandone il respiro in sì larghe composizioni, il suo trasfigurare la natura in un sicuro umanizzare case, alberi e fioriture, si è armonizzato in deliziosi particolari, aulenti aspetti d’un silenzioso vivere, quasi fossimo, come in gran parte siamo, anche contro le apparenze più fragorose, protesi a riposarci con quanto vi è di genuino e divino nel germogliare di semi da erbe a fusto, ad albero, a fiori e frutto.
Ecco perché sento che l’opera della Delfitto si è elevata, nella conquistata difficile tecnica della pittura a rovescio su vetro, dalla primitiva ingenuità alla fantasia armonizzata da un interiore respiro per sé e per coloro che sanno cogliere, oltre i teorizzatori e gli spacciatori di “trovate”, una così evidente e genuina espressione d’arte.

Mario Rivosecchi


Omaggio a Maria Delfitto – 27 novembre 1969

Squilla, splende, gioisce
nei colori canta
tutta la primavera
di rossi, di bianchi, di verdi
e d'azzurri.
La mano dipinge
col cuore
avanza
minuta, preziosa
vibrante e calda
come sole di maggio
prati nascono
e alberi in fiore
per magia nativa
sotto il pennello d'oro.
Maria Delfitto
insegna a se stessa
orgogliosa e umile
avanza
nel giardino
miracoloso
dell'amore
c'è il sereno
dell'innocenza
il dono del candore.

Nevio Jori


L’effetto magico che alita nei paesaggi di Maria Delfitto percorre le vie della più assoluta semplicità. Se guardiamo bene, si tratta di una operazione quasi impercettibile che riscatta la consuetudine illustrativa delle immagini in una fresca e vibrante condizione naturale: quel mondo felice che soltanto agli autentici ingenui è dato di toccare.

Nevio Jori


dalla monografia “I Naïfs Italiani” – Passera & Agosta Tota editori s.a.s. – Parma, 1972

… l’analitica descrizione di un mondo che resiste alle invasioni della moderna tecnologia costituisce l’abito mentale della pittrice. Con la semplicità di un bambino, l’animo della Delfitto si avvicina a questo mondo vegetale quasi per una necessità di purificazione. L’indagine che conduce sembra voglia riproporci il tema della natura, tema sempre più attuale quanto maggiore è il ritmo con cui l’uomo la distrugge. Tale è l’esperienza che gradualmente assume la Delfitto con un paziente lavoro da certosino. Ella non sente il bisogno imperioso di allargare le superfici, ma di “richiamare”, con appropriata pigmentazione cromatica, tutto il primo piano del proprio parto estetico. In ciò la dissonanza emotiva tra le case, il cielo e la campagna. Questo rifiuto della sintassi della pittura è tutto quanto emerge dall’indagine psicologica: la sola cosa che si concede il naïf, per la gran voglia che ha di dimenticare, di non pensare, quasi una terapia che sfocia in reazioni logistiche.

Manlio Manvati


da “Il Messaggero” – mercoledì 13 aprile 1977

… E il fascino dei dipinti della Delfitto sta proprio nella mirabile armonia della lussureggiante raffigurazione di aiuole, di alberi, di fiori spesso inesistenti in botanica, ma la cui verosimiglianza è così lampante per lo stesso motivo per cui, sovente, la natura eguaglia e supera la fantascienza. Si aggiunga che la Delfitto, da qualche tempo, usa anche la tecnica della pittura a rovescio su vetro; una tecnica difficile sotto l’aspetto materico, ma che tuttavia offre risultati di notevole suggestione, perché la gamma dei colori che appaiono in questa sorta di Eden rivisitato o di giardino delle Esperidi ricreato dalla fantasia della pittrice, acquistano trasparenze e lucentezze, che esaltano il tono di favola, di paesaggio incantato, immoto e immutabile nel tempo.

C.M.


Estro naturale tra memoria e fantasia

Nel lontano 1967, presentando alla Galleria “Rosati” di Ascoli Piceno una serie di dipinti, che Maria Delfitto da appena due anni aveva iniziato a realizzare per soddisfare l’istintivo bisogno di interpretare, mediante segni e colori, il suo microcosmo, e inquadrando il suo caso nel fenomeno più ampio della pittura ingenua o naïve, scrivevo che per i pittori assimilabili a tale tendenza “… la raffigurazione delle cose e del mondo esterno prende l’avvio da un moto istintivo, irrazionale, e si traduce in una molteplicità di sensazioni incubate nella fantasia e del tutto svincolate dalle leggi scientifiche codificate, in quanto essi si pongono dinanzi al problema di definire pittoricamente la realtà, come se prima di quel momento non fosse esistito alcun altro pittore”. Ma concludevo quello scritto con queste parole: “Non è facile rimanere insensibili alla suggestività segreta, ma calorosa che promana da non poche delle opere qui esposte: da quel senso della poesia delle cose intimamente goduta dalla pittrice fino all’ultima latebra, dalla gioia che traspare da ogni grumo di colore, da quel clima intensamente magico e fiabesco che Maria Delfitto riesce a trasmettere all’osservatore, rendendolo partecipe di una realtà immaginata, ma in definitiva non ignota”.

Maria Delfitto, che allora aveva 52 anni, avrebbe cessato di dipingere dodici anni più tardi, impedita da una malattia invalidante. Malgrado il lasso di tempo non breve, la produzione di questa artista è piuttosto scarsa. Tale constatazione rafforza il convincimento che già al momento di quella mostra si era fatto strada in me: la pittura di Maria Delfitto, come qualsiasi altro atto creativo, nasceva sì da una componente irrazionale, da qualche recesso del subconscio, ma rispetto alla gran parte dei pittori naïfs, i quali, per usare una distinzione di Giancarlo Marmori risalente al 1974 (in pieno boom internazionale dei pittori primitivi), o sono “… folli abbastanza e stupendamente maldestri, per ignoranza totale o relativa di tutto ciò che nutre l’opera di un artista colto…”, oppure sono “… coloro che hanno scelto di esserlo (…) e hanno deliberatamente trasformato una vocazione o un destino in un genere artistico o, semmai, in prodotto commerciale di facile smercio…”, la pittura di questa artista, dicevo, appariva estranea sia all’una sia all’altra delle categorie ipotizzate. Oggi che il ciclo artistico di Maria Delfitto si è definitivamente concluso, mi è agevole trovare conferma a quella prima impressione. Intendo dire che la pittura di questa artista non è una pittura esclusivamente di fantasia, è più marcatamente, direi, pittura di memoria. Nasce cioè da immagini recuperate da una realtà vista e vissuta, di cui a distanza di tempo e di luogo la pittrice tenta di ricostruire i particolari o ciò che, dell’insieme, ha colpito la sua sensibilità, il suo istinto di identificazione o di rispecchiamento in quella realtà.

Le diverse versioni dei dipinti intitolati “Paesaggio ligure” appartengono a questa pittura memorialistica. Ci è noto che Maria Delfitto è stata realmente in Liguria, in visita a parenti: la profusione di fiori in questi dipinti è la proiezione in forma pervasiva di quell’intenso cromatismo botanico e floreale che caratterizza (o caratterizzava) vaste zone del paesaggio costiero ligure. L’enfasi con cui Maria Delfitto ce lo descrive appartiene a quel mondo della trasfigurazione, che può essere esaltante o riduttivo, nel quale ciascuno di noi, artista o no, diventa protagonista, soprattutto quando si è al cospetto del mistero infinito della natura e lo si vive con la pienezza dei sensi. Per questa pittrice un luogo naturale in cui i fiori e gli alberi in fiore sono una presenza dominante non può che essere, nel suo ricordo e nel suo desiderio, che una sorta di Eden perduto, lo scenario di una favola che anche noi – contemporanei del disastro ecologico – vorremmo raccontare a noi stessi. E’ significativa, a tal riguardo, l’assenza nei dipinti di Maria Delfitto della figura umana, voglio dire di uomini e donne nelle loro conosciute anatomie; ma non possiamo escludere che, o per magia di metamorfosi o per rifiorire di antichi miti (il mito, si sa, è sempre presente in noi), in ogni albero, in ogni stelo di fiore dipinto da Maria Delfitto si celi un essere antropomorfo. Difatti, se guardiamo alcuni alberi che popolano i suoi dipinti, non facciamo fatica a intravedervi similitudini con le anatomie umane: i due alberi intrecciati del dipinto “Campagna fiorita”, del 1977, sono chiaramente i simboli dei due principi complementari, maschile e femminile. Non c’è da stupirsi di queste metafore: nella tradizione di molte culture, l’albero è un’imago mundi e, in quanto tale, ne è lo specchio a più facce.

Laddove, invece, la realtà è ancora palpitante, è astanza pregnante e incombente, Maria Delfitto, l’affronta con piglio deciso, quasi con sfida, utilizzando un linguaggio descrittivo veristico, che è di adesione totale e partecipe al soggetto, nella connotazione dei particolari, nelle sfumature di colore, persino nella contrapposizione delle luci e delle ombre. Si osservi, per tutti, il dipinto “Paese alto di Grottammare visto dal mare”, del 1968, forse il suo capolavoro. Il pittoricismo chiaroscurale, il senso dello spazio e la sapiente disposizione prospettica dei volumi, uniti alla felice resa delle tonalità di colore, concorrono a definire un paesaggio, nel quale si respira un profumo di mare, pur essendo il mare fuori dal campo visivo. Con questo dipinto, Maria Delfitto, sebbene non sorretta dalle risorse accademiche della tecnica figurativa, supera ogni nostra aspettativa, raccoglie ammirazione e consenso.

luglio 1992

Carlo Melloni